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Le visioni "schizofreniche" de “I canti dell’esperienza” di William Blake

  • 28 set 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Verona, 28 settembre 2020 - Aggiornamento su “I canti dell’esperienza di William Blake”, secondo volume a dorso della collana “ARISTODEMICA” di Poliniani / Al segno di Fileta.


Il rapporto tra l’autore e la sua opera è spesso controverso ed è costellato da intense tappe meditative che posso portare all’identificazione di una poetica ben definita. Perciò, oggi parleremo con Antonello Fabio Caterino parleremo delle visioni di William Blake che lo hanno condotto all’elaborazione de “I canti dell’esperienza”:


“«There was no doubt that this poor man was mad, but there is something in the madness of this man which interests me more than the sanity of Lord Byron and Walter Scott»: così tuonava William Wordsworth, il celebre poeta che amava vagare «solitario come una nuvola». In effetti Blake, nella sua opera, è autore di visioni placide ma inquietanti, e talvolta estreme e disturbanti. A causa di ciò godette di poca fortuna in vita, e della pregiudizievole etichetta di pazzo. Con l’evolvere delle cognizioni mediche, venne anche precisato il tipo di pazzia: schizofrenia. Vi è da dire, d’altra parte, che egli stesso affermava di essere costantemente preda di queste visioni, di avere un canale diretto e privilegiato con gli stessi arcangeli.


Dovrebbe stupire poco tutto ciò. Del resto anche l’Italia vanta di aver mandato in “manicomio” Torquato Tasso, uno dei suoi più decantati intelletti letterari.

Però nell’opera di Blake – come del resto in quella di Tasso – è ben riscontrabile una struttura, una poetica. Per citare l’Amleto di Shakespaere, in quella pazzia vi era metodo. Metodo inteso come struttura mentale e retorica. Le visioni di Blake restano lontane dalla meticolosa razionalità di quelle dantesche nella Commedia, sebbene il poeta inglese illustri l’Inferno dantesco, e ammiri in parte il suo pensiero.


La percezione che Blake ebbe della realtà era estremamente analogica rispetto alla realtà stessa: una foresta di simboli tenuta insieme da una schiera spesso incontrollabile di miti, archetipi e significanti sospesi. Eppure la giustapposizione di questa percezione con i suoi momenti più descrittivi danno un quadro della realtà umana drammaticamente essenziale, per citare Battaille: di una essenzialità che la stessa filosofia più volte non esprime.


Copertina

Resta emblematica del suo percorso la sua opera più conosciuta: I Canti dell’Innocenta e I Canti dell’Esperienza, rappresentanti i due stati dell’animo umano. La realtà pare essere un anello che Blake usa per incastonare le sue visioni: senza ignorare la prima, dà rilevanza soprattutto alle seconde. Del resto, la frattura delle due condizioni dell’animo umano era un po’ la frattura tra Sette o Ottocento, tra classicità e novità. Vivere a cavallo di due secoli (molti di noi lo sanno fin troppo bene) non è semplice. Blake rispose con visioni e profezie. Stranamente, un’anima razionale come Foscolo fece qualcosa di non dissimile (meno sogni, più ironia) con la sua purtroppo non celebre Ipercalisse.”



I canti dell’esperienza” di William Blake (a cura di Antonello Fabio Caterino) sono disponibili sul sito Poliniani (link).


La pubblicazione annovera la prefazione redatta da Francesca Favaro, e le tavole illustrative di Roberto Luccarelli.

Buona lettura.


La Redazione Poliniani

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